Ecco un altro appassionante Viaggio Natura di Fulco Pratesi, il presidente onorario del WWF! Qusta volta siamo al freddo delle Svalbard, un itinerario però caldissimo per gli incontri a quattro zampe che Fulco ha fatto! Buona lettura!
A un passo dal Polo Nord
Per rendermi conto di persona dei cambiamenti climatici in corso nel nostro Pianeta, ho voluto così recarmi nella trincea più avanzata di questa angosciosa guerra planetaria.
Le Isole Svalbard, terra di Norvegia a soli mille chilometri dal Polo Nord, sono, in Europa, il luogo ove è più facile accedere alla banchisa e poter osservare da vicino gli animali minacciati dal global warming.
Il viaggio, ai primi giorni dell’agosto scorso, per raggiungere la capitale delle Svalbard non è stato particolarmente complicato. Volo da Roma a Oslo, altro volo fino a Tromso, sulla costa nord occidentale della Norvegia, oltre il Circolo Polare Artico. Un ultimo balzo per arrivare al piccolo aeroporto di Longyearbyen, sull’isola Spitzbergen , capitale di questo arcipelago di 62.000 chilometri quadrati (una volta e mezza la Svizzera), per la maggior parte (4/5) coperto da immensi ghiacciai e popolato da 2.600 persone (e da circa 3.000 orsi polari).
Una passeggiata per le strade di Longyearbyen
Con una temperatura di 10° (quando non soffia il gelido vento dell’Artico) non offre grandi emozioni, nonostante i cartelli che sconsigliano di uscire dall’abitato per il pericolo di attacchi da parte degli orsi. L’anno scorso si è dovuto infatti abbattere un esemplare magro e affamato di questa specie, pur se assolutamente protetta, che si aggirava troppo vicino ad una stazione meteorologica.
Tra le basse case colorate e con il tetto a punta, grandi distese di motoslitte parcheggiate in attesa dell’inverno, fioriture di eriofori candidi e di papaveri gialli endemici delle Svalbard.
Sulla costa, il volo indaffarato delle sterne artiche (Sterna paradisaea) intente a sorvegliare i piccoli prima di prendere con essi il volo verso il Polo Sud dove vanno a svernare.
Dopo una visita al bel Museo dell’Artico, breve escursione sulla riva del fiordo.
Qui, sui prati e sulla tundra liberata dai ghiacci, le scure renne a zampe corte (sottospecie esclusiva di questo arcipelago) pascolano tranquille, mentre sul limo grandi stormi di oche a faccia bianca (Branta leucopsis) si preparano alla migrazione autunnale.
Imbarcati sul Nordstjernen
Battello postale che percorre le coste occidentali dello Spitzbergen quando la distesa di ghiacci lo consente – facciamo una prima sosta al villaggio di Barentsburg, enclave mineraria russa, adibita alla produzione di carbone. Grandi edifici in stile sovietico, casette basse, busto di Lenin nella piazza principale.
La navigazione verso nord ci regala, sotto un cielo basso e plumbeo, il volo frenetico di pulcinella di mare (Fratercula arctica) dal becco coloratissimo, di gabbiani tridattili (Rissa trydactila) chiari con la punta delle ali nere, di goffi fulmari (Fulmarus glacialis) grigio topo, di urie nere (Cepphus grylle) dalle zampe rosso fuoco.
Lo sbarco nella Baia della Maddalena, antica stazione baleniera abbandonata da decenni, ci consente, scortati da guide armate, di scoprire le minime commoventi pianticelle della tundra estrema, disperse tra i ciottoli di antiche morene che testimoniano del progressivo e preoccupante ritiro dei ghiacciai. Non sono molto diverse da quelle che si possono trovare sulle alte quote alpine.
Il primo orso polare
Ci vengono indicati i pulvini verdi-rosati della silene a cuscinetto (Silene acaulis), i fiori timidi di pedicularie e di sassifraghe e le gialle, delicate corolle del papavero delle Svalbard (Papaver dahalianum), tutte specie capaci di completare l’intero ciclo vitale nel breve periodo dell’estate artica.
Ma ecco i primi zatteroni di ghiaccio, tra i quali la nave si apre la strada nella rotta verso l’80° parallelo.
Ad un tratto, sulla sinistra, il primo orso polare.
L’emozione è forte. Vedere nel suo ambiente di vita questo bestione, che può pesare fino a 700 chili e raggiungere un’altezza di tre metri, fa una certa impressione. Anche per tutti i miti legati al suo nome greco (arktos), da quello dell’Artico a quello della costellazione dell’ Orsa.
Se ne sta, giallastro, col muso sporco di sangue, sulla candida lastra di ghiaccio ravvivata da pozze color turchese, intento a divorare una foca appena catturata, mentre attorno grandi gabbiani glauchi (Larus hyperboreus) attendono speranzosi di poter prendere parte al cruento banchetto.
Sullo sfondo, aguzze montagne color antracite sbaffate di neve.
In tutto il mondo, dal Canada all’Alaska, dalla Siberia alla Groenlandia, restano ormai solo 20/25.000 orsi bianchi, la popolazione di una città come Montreux, minacciati dalla progressiva dissoluzione dei ghiacci, loro indispensabile ambiente di vita. In quanto è solo appostandosi presso le buche sul pack dove le foche escono a respirare, che riescono a catturarle. E se non trovano ghiacci disponibili, sono obbligati a estenuanti nuotate che possono anche provocarne la morte per annegamento, come pare sia accaduto tempo fa a nove individui osservati a nuoto lontani più di cento chilometri dalla riva
Di foche, sia quella ad anelli sia la barbata, se ne vedono diverse, stravaccate sul ghiaccio come scure limacce contro l’abbagliante splendore della banchisa.
Ora il freddo è sempre più intenso e il postale deve compiere giri per evitare le lastre divenute più grandi e spesse.
Una puntata nel fondo di un fiordo ci regala la visione, molto da vicino per quanto i ghiacci lo consentano, del ghiacciaio Monaco, così chiamato in onore del grande oceanografo esploratore Alberto I di Monaco. Una distesa infinita di grigia e corrugata fiumara scende dall’entroterra e, giunta al mare, si spezza in una maestosa muraglia turchese, giada e zaffiro che si sgretola in enormi iceberg dalle forme fantastiche. Sotto il crosciare delle zolle gelate, un orso polare si aggira lentamente in cerca di preda. Superiamo, con un simpatico brindisi, l’80° parallelo.
Oramai il Polo nord è solo a 1000 chilometri, la distanza in linea d’aria che corre tra Roma e Parigi.
Nel rifugio del tricheco
Qui, stando al comandante della nave e alle guide, era impossibile arrivare ancora fino a pochi anni fa. Ma lo scioglimento dei ghiacci e la riduzione drammatica della calotta polare – che negli ultimi anni hanno permesso la circumnavigazione del Polo e l’apertura del famoso Passaggio a nord-ovest – consentono ora di potersi avvicinare all’ultimo rifugio dell’altro grande protagonista della fauna artica.
Il tricheco, come l’orso polare, rappresenta il simbolo di queste gelide solitudini.
Divincolandosi tra i lastroni galleggianti con lunghe deviazioni (che ci fanno osservare un altro orso in solitaria marcia sulla neve), il pilota riesce a portarci a qualche centinaia di metri dall’Isola Moffen.
Su questo basso isolotto di ciottoli scuri, circondato da un mare grigioverde e coperto da un cielo grigio piombo, un bel gruppo di trichechi compone una distesa nero-rossiccia. Ogni tanto un grande maschio dalle imponenti zanne candide si solleva e si getta in mare.
Se nel Pacifico del nord questi bestioni, che raggiungono e superano i 1700 chili, sono presenti ancora con una popolazione di 200.000 individui, quella dell’Atlantico – che vive sulle coste del Canada settentrionale, della Groenlandia, del Mare di Barents e delle Isole Svalbard – non conta più di 15.000 esemplari.
Una cifra preoccupante, se si tiene conto del fatto che anche i trichechi, come gli orsi, soffrono per la sempre maggiore riduzione del loro habitat.
Il problema è che per questi enormi pinnipedi occorrono due condizioni ambientali: lastre di ghiaccio abbastanza spesse da sopportare il loro ingente peso e acque basse dai 20/30 metri fino a quasi 100, per potersi immergere a rastrellare il fondo con le zanne in cerca dei molluschi e crostacei di cui si nutrono.
Vedere il gruppo di splendidi animali sotto il nevischio spinto da un blizzard sferzante che scende dal Polo rappresenta uno spettacolo commovente ed emozionante.
Nella Baia del Re
Nel viaggio di ritorno non poteva mancare una sosta, a Ny Alesund, nella Baia del Re, luogo famoso nella storia delle esplorazioni artiche perché è proprio da qui che partì nel 1926 la prima spedizione polare sul dirigibile Norge dell’esploratore Amundsen (qui ricordato da una brutta scultura) e, nel 1928, quella del dirigibile Italia comandato da Umberto Nobile, che naufragò sul pack dando inizio alla drammatica avventura della Tenda Rossa.
Un arrugginito pilone di ferro per l’attracco delle aeronavi, ancora svetta sulle desolate distese boreali.
A Ny Alesund molti paesi hanno le loro stazioni scientifiche e meteorologiche. Impressionante quella della Cina, custodita da due grandi leoni di pietra, più modesta quella italiana, dedicata proprio al comandante Nobile.
Tra le casette basse e attorno al porto, pascola una renna selvatica e si aggira una volpe polare nel dimesso pelame estivo. I piovanelli violetti (Calidris maritima) e i zigoli delle nevi (Plectophenax nivalis), simili a quelli delle nostre montagne, razzolano indaffarati in cerca di cibo.
Tutt’attorno, le vette puntute dei monti circondati da algide nuvole basse e da ghiacciai grigio azzurri.